Il ballo dal dopoguerra agli anni sessanta

di Massimiliano Raso

“Il sole indugiava ancora all’orizzonte e le rondini garrivano nel cielo del Castello che già le avanguardie del pubblico affluivano verso i viali del Parco ad assicurarvisi posizioni di favore….”. Inizia così un articolo del Corriere d’Informazione del 1945 dedicato al grande ballo collettivo progettato a Milano per festeggiare la fine delle ostilità. Quando il 30 aprile del 1945 l'Armata Rossa conquista il Reichstag, il Fuhrer è già morto suicida nel bunker con la storica amante Eva Braun. Con la fine del secondo conflitto mondiale, in un’Europa ridotta ad un cumulo di macerie, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, progressivamente sempre più armati ed aspramente contrapposti in un conflitto ideologico e geopolitico, si fermano sulla soglia dello scontro militare diretto: la guerra fredda. Con l’Europa traghettata fuori dalla spirale negativa dei totalitarismi, una lunga età dell’oro, di crescita economica crea le premesse della “società del benessere”; ai cittadini si assicura la quasi totale copertura dei bisogni, “dalla culla alla tomba” (Beveridge). “Ogni sera, ogni notte si balla fra le macerie, negli spazi aperti dalle bombe, in strada, nei cortili: Si balla in canottiera, in vestitucci di cotonina rivoltata, si balla fra donne se scarseggiano gli uomini” (Anna Tonelli). A partire dal dopoguerra, infatti, il ballo avvicina le persone semplicemente perchè i corpi incollano, incantano, seducono; si balla anche di gruppo, “ballano tutti, di tutto, come scrive Marta Boneschi, e, da quando gli americani hanno importato il boogie woogie, il numero possibile di danza è infinito. Che s’introducono dall’America nuovi costumi, basta leggere un articolo degli anni cinquanta di Camilla Caderna: “I maschi portano tutti i pantaloni di tela e camiciotti a scacchi, scarpe da tennis e giubbotti da pallacanestro con la scritta dietro (…). I milanesi li videro tutti insiemi questo inverno, quando ci fu il primo campionato di rock and roll al palazzo del ghiaccio”. A partire dagli anni cinquanta, dunque, il ballo perde sempre più il suo ruolo simbolico di distinzione fra le categorie sociali per abbracciare una più ampia dimensione di aggregazione e di comunicazione, se non di ribellione. L’euforia conseguente al conflitto, giustamente, fa esplodere la voglia di uscire dalle case per esprimere tutte le energie a lungo represse. Soldati, casalinghe, operai, industriali, tutti a cimentarsi nella frenesia di balli, dappertutto: “… Si balla nelle case, nei cortili, nelle piazze, sotto i pergolati. Si balla senza respiro […] I fonografi a manovella diffondono le note del boogie-woogie…” (Marco Innocenti).  Nel 1961 l'Italia compie i suoi primi cento anni di unità nazionale, il Paese si avvia ad attraversare un vero boom economico grazie agli aiuti economici americani del Piano Marshall che consentono all’Italia abitudini nuove: frigoriferi, lavatrici, radio, televisori diventano apparecchiature di utilizzo popolare se l’economista Bergson può scrivere che: “…l’obiettivo di costruire una scala di preferenze per l’intera collettività a partire dalle preferenze individuali…”. Il mercato discografico esplode: il Juke box e i giradischi, in crescita esponenziale in questi anni, concorrono ad alimentare la febbre del ballo, e il sabato sera è destinato a diventare un giorno speciale.  Le dancing, le sale da ballo, infatti, non sono più luoghi maldicenti ma di ritrovo di giovani che indossano jeans, masticano chewing- gum e mischiano le note di Elvis Presley a qualsiasi altro ritmo ballabile. Il nuovo bisogno di socialità, quindi, sembra proprio passare attraverso la moda, e il modo di ballare, tant’è vero che Paul Ginsorg osserva: “le centinaia di luoghi da ballo divennero luoghi importanti d’incontro in cui i giovani abbandonano la costrizione della vita rurale per abbracciare maggiori libertà e ambizioni”. Negli anni sessanta, unitamente al boom della musica leggera, al Festival di Sanremo, al Cantagiro, un ricco fiorire di balli dall'hully gully al twist allo shake, incominciano a tenere banco nelle classiche e feste. Ballare diventa indicatore di un nuovo stile di vita e le sale da ballo, che incarnano questo sentimento, rappresentano una sorta di “democratizzazione sociale”, voglia di libertà, rifiuto degli schemi. Intanto, l’eco anticonvenzionale proveniente dall’Università di Berkeley (USA), dove inizia la contestazione giovanile studentesca, innesca un sentimento anticonformista; in Italia dà vita a nuove influenze culturali, i figli dei fiori, la canzone italiana. La nuova decade degli anni settanta, del resto, fa presagire quello che sarebbe stato il prossimo futuro di una generazione vissuta finora a pane e ballo: nuove tensioni sociali, crisi internazionali, e la morte di Jimi Hendrix e Janis Joplin, non fanno ben sperare.

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