Hip Hop, la controcultura giovanile

di Massimiliano Raso

“Nessun figlio di puttana sa far rapper come me” (CC Crew rap, Golden Flamingo records). L’elemento duro, di scontro, di lotta, nasce marcato nell’Hip Hop, in quello che possiamo definire un “movimento della contemporaneità”, traducendo dal linguaggio americano. Discendenze di antica memoria africana o afroamericana, i griots, dozens; parentela con blues e jazz, influenza di James Brown, per risalire alle origini dell'Hip Hop occorre anche molta fantasia musicale. Bisognerebbe, però, iniziare a dare subito dei numeri, quelli di un civico del Bronx, quartiere di New York. Al 1520 di Sedgwick avenue c’è Kool Herc, musicista jamaicano naturalizzato statunitense, che sta facendo uno dei primi party nella sua abitazione proponendo una musica che ha una certa libertà e novità di suono, tant’è che crea una danza dal nome breaking. Correva l'anno 1972. Alla fine degli anni sessanta, forti cambiamenti, tensioni sociali, la circolazione di armi da fuoco, il progressivo ammodernamento di alcuni quartieri di New York come il Bronx, dove viveva la piccola e media borghesia bianca, causa la cosiddetta "fuga dei bianchi" spinti a trasferirsi altrove dal crollo del valore delle proprietà immobiliari. Quello che ne consegue è degrado, criminalità, violenza, che fa emergere una nuova cultura giovanile basata sull'appartenenza a gang di strada. Kool Herc, che vive sulla sua pelle questa trasformazione, ha due giradischi, un doppio amplificatore con due canali per chitarra e altoparlanti PA, ha il primo soundsystem della storia. Musica come "Give It Up Or Turnit A Loose" di James Brown, "It's Just Begun" dei The Jimmy Castor Bunch's e "Melting Pot" di Booker T & the MG's, rappresentano un'alternativa per il pubblico. Nasce il breakbeat DJing, cioè la figura professionale del disc jockey, letteralmente il "fantino dei dischi", o se si vuole l’addetto a selezionare i dischi. Ad interrompere un certo clima di violenze esercitate dalle gang nella cultura dell’Hip Hop, il rapper statunitense Afrika Bambaataa, creando la Zulu Nation, comunità di ragazzi di colore, organizza feste di Hip Hop allo scopo probabilmente di portare la pace fra i gruppi micro-criminali. Ma che cos'è l’Hip Hop? Il tag del writer Black20 sostiene che: “l’hip hop nasce come spinta positiva per chi è destinato, per vari motivi etno-sociali, alla malavita, per chi non ha nient’altro che il proprio quartiere, la propria città; musica, ballo e pittura diventano i mezzi di aggregazione di persone con idee e intenti simili, per intrattenimento ed educazione”. Le principali caratteristiche dell’hip hop, ad ogni modo, sono il Rap, l'arte della manipolazione del giradischi, (il Turntablism), il B-Boying (conosciuto come Breakdance), l'arte dei graffiti in cui traspare uno stile di vita, manifesto dell'identità e dell'orgoglio controculturale dei ragazzi di colore. Più di qualsiasi altro genere musicale dai tempi del blues, probabilmente, l'hip hop mantiene una connotazione tipicamente underground creando correnti e differenziandosi per contenuti, stili, slang. I testi delle canzoni e degli scritti in gergo sono temi di attualità e interesse sociale che hanno visto apparizioni di artisti rap al cinema piuttosto che finire in prigione. Certamente lo stile concepito da Kool Herc, Afrika Bambaataa, Grandmaster Flash e gli altri ha invaso la musica dance dei nostri giorni dando vita a rapper bianchi edulcorati come Vanilla Ice che convivono ormai con gruppi legati a un'identità tra integrazione, ribellione di strada, successo commerciale. Sarebbe sempre utile riguardarsi pellicole storiche come I Guerrieri della notte di Walter Hill o riascoltando Rapper’s Delight della Sugarhill Gang, una delle prime canzoni rap del mondo che recita: “I said a hip hop, a hippie, a hippie to the hip hip hop”.

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