L'arte di Raffaello nelle sue Madonne

di Massimiliano Raso

Alcuni periodi dell'anno sono indubbiamente più intensi: artisticamente, emotivamente, spiritualmente. Il Cristianesimo ha rappresentato una grande “fabbrica” teologica intrisa di immagini, documenti e personaggi biblici a cui pittori, scultori e architetti hanno fatto riferimento tra le loro righe sull’arte. Santi, Crocifissi, Madonne col Bambino sono da sempre l’apoteosi di come è possibile celebrare il fascino artistico, a mezzo religiosità. Raffaello rappresenta quell’idea dell’arte per cui riprodurre fedelmente la natura, e la sua bellezza, debba ritenersi qualcosa di diverso delle capacità di imitare l’apparenza delle cose: equilibrio, armonia, serenità. Peculiarità di un’arte tutta sua, come ha sottolineato Goethe: “Raffaello è sempre riuscito a fare quello che gli altri vagheggiavano di fare”. Le Madonne realizzate da Raffaello sono quasi una trentina, tutte rivestono una grande bellezza artistica e umana come, per esempio, la Madonna Esterházy, la cui ambientazione è un ampio paesaggio naturale sullo sfondo dal quale emergono ruderi del Foro Romano: Raffigura la Madonna col Bambino poggiato su una roccia e San Giovanni Battista fanciullo, sulla sinistra del quadro, intento a decifrare un messaggio su un cartiglio, tutti e tre legati da una forte intesa sentimentale sottolineata da sguardi e gesti carichi di umanità. Nelle sue Madonne Raffaello crea un tipo di bellezza femminile aggraziato, pieno di dolcezza, un punto di riferimento per gli altri artisti nei secoli successivi. Egli studia le figure inserendole in paesaggi sempre diversi, variandone i motivi affettivi dell’anima: “Il pittore ha l’obbligo di fare le cose non come le fa la natura, ma come ella dovrebbe fare”. Con queste parole Raffaello si fa interprete del sogno estetico dell’età rinascimentale. All’età di 20 anni si trasferisce a Firenze dove conosce le opere di grandi artisti, soprattutto di Leonardo e Michelangelo. Ed è in questo periodo della sua vita che incomincia a manifestare tutta l'innata genialità. S’inserisce talmente bene nell’aristocrazia fiorentina che, ospite dell’umanista fiorentino Taddeo Taddei, lo storico dell'arte Giorgio Vasari annota: “…lo volle sempre in casa sua e alla sua tavola (…) e Raffaello, che era la gentilezza stessa, per non esser vinto di cortesia, gli fece dei quadri”. Nel clima favorevole dei salotti di Firenze, realizza numerose Madonne: la Madonna del Granduca (Pitti - Firenze), la cosiddetta Bella giardiniera (Louvre - 1507) che rappresenta l'incontro fra la Vergine, Gesù Bambino e san Giovannino, la splendida Madonna del cardellino (Uffizi) e la Madonna del prato (Vienna). Quello che caratterizza le madonne di Raffaello è un particolare senso di protezione della Vergine nei confronti del bambino che lo s’intuisce ad un primo impatto ottico. I bambini, infatti, sono veri, naturali, spontanei, giocano e si muovono con espressioni tipiche dell'infanzia. Per capire quali fattori spingono Raffaello ad andarsene da Firenze, ad un certo punto del suo percorso artistico, senza non prima aver lasciato incompiuta una tavola ricordata con il nome di Madonna del Baldacchino, basta leggere le parole del Vasari. La sua repentina partenza dalla città toscana è giustificata in questi termini:” e questo avvenne, perché Bramante da Urbino (…) gli scrisse che aveva operato con il papa, il quale aveva fatto fare certe stanze, ch’egli potrebbe in quelle mostrar il valor suo…”. Nel 1508, dunque, lascia la città fiorentina per Roma per rimanervi fino alla morte. Nella città eterna al sommo pontificio si alternano due personalità papali: Papa Giulio II, per il quale Raffaello realizza la stanza della Segnatura, celebrandone la cultura umanistica dipingendo la Scuola di Atene; il successore Leone X, per il quale realizza la Madonna di Foligno, custodita in Vaticano, la Madonna del Pesce (Madrid), la Madonna del Diadema (Louvre). Per comprenderne la portata storica dell’arte di Raffaello, attraverso i capolavori delle sue Madonne, e non solo, un passaggio de “Vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architetti” di Giorgio Vasari chiarisce meglio: “Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo nell’accumulare in una parola sola l’infinite ricchezze dè suoi tesori e tutte quelle grazie è più rari doni che in lungo spazio di tempo suol comparire fra molti individui, chiaramente potè vedersi nel non meno eccellente che grazioso Raffael Sanzio da Urbino…”. Raffaello muore il 6 aprile 1520, dopo quindici giorni di malattia, a soli 37 anni. Sulla sua tomba, nel Pantheon a Roma, c’è scritto: “Qui giace Raffaello, dal quale la natura temette mentre era vivo di essere vinta; ma ora che è morto teme di morire”.

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